Sebbene si possa ipotizzare che le torri eoliche possano diventare elementi caratterizzanti del paesaggio meritevoli di valorizzazione o tutela in futuro, attualmente non sono considerate tali, dati gli obiettivi di tutela stabiliti dalla normativa in materia di valutazione di impatto ambientale e dal contesto normativo generale sulla tutela del paesaggio. Le torri eoliche vengono quindi considerate elementi negativi per il paesaggio, essendo essenzialmente impianti industriali, con la conseguenza che la presenza di numerose strutture già installate, ed il parziale degrado della zona interessata, non giustifica l’approvazione di ulteriori installazioni, al fine di prevenire un deterioramento ulteriore dell’area.
Consiglio di Stato, sez. IV, Sentenza del 04/09/2024, n. 7400
La ricorrente appellante, impresa attiva nel settore della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, con istanza presentata alla Provincia di Foggia chiedeva il rilascio della valutazione di impatto ambientale- VIA per un progetto descritto come “realizzazione e messa in esercizio di un impianto eolico per la produzione industriale di energia elettrica, costituito da 7 aerogeneratori da ubicarsi all’interno dei limiti amministrativi del comune di Orsara di Puglia e delle relative opere ed infrastrutture accessorie necessarie al collegamento alla Rete di Trasmissione Nazionale (RTN) ed alla consegna dell’energia elettrica prodotta.
Per questo progetto la VIA -come atto distinto dall’autorizzazione unica di cui all’art. 12 comma 3 del d. lgs. 29 dicembre 2003 n. 387, che infatti veniva rilasciata “nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico” – era richiesta ai sensi dell’art. 4, comma 3, ultima parte della L.R. Puglia 12 aprile 2001 n. 11, in quanto il progetto interessava aree naturali protette ed era di competenza della Provincia, quale autorità delegata ai sensi dell’art. 2 comma 2 della L.R. Puglia 14 giugno 2007 n. 173.
Ciò posto, la Provincia, come autorità competente, convocava la prevista conferenza di servizi e, all’esito, con apposito provvedimento esprimeva VIA negativa, motivando con riferimento ai pareri, tutti di segno negativo, del Comitato VIA provinciale, dell’ARPA Puglia e della Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio (pareri richiamati nel preavviso di diniego), nonché agli ulteriori pareri, confermativi dei precedenti, del Comitato VIA e della Soprintendenza, questi ultimi due pronunciati dopo che la ricorrente appellante aveva espresso le proprie osservazioni.
Secondo la Corte, meritava assoluto rilievo il parere negativo del Comitato VIA.
In primo luogo, il parere rilevava che “in relazione al PPTR Puglia l’impianto si inserisce nell’ambito paesaggistico “Il Tavoliere” a confine con l’ambito Monti Dauni e [la] figura Lacera e le Serre dei Monti Dauni, al confine con la figura Monti Dauni. Gli aerogeneratori di progetto si collocano tutti all’interno dell’UCP-Vincolo Idrogeologico … Tutte le torri si posizionano all’interno di tre UCP-strade a valenza paesaggistica, e precisamente la SP111, SP123 e la strada comunale Selce di Martino Giardinetto andando ad interferire con le visuali panoramiche con un ulteriore alterazione dello skyline del paesaggio limitrofo, stante la presenza dí altri aerogeneratori presenti e già in esercizio nell’arca circostante“. Il parere proseguiva, poi, dando atto che anche i tracciati dei cavidotti interferivano, in parte, con alcune UCP, puntualmente specificate.
La Corte precisava per chiarezza che il Piano paesaggistico territoriale regionale – PPTR della Puglia nelle proprie norme tecniche di attuazione classifica in modo articolato le zone protette:
– all’art. 7, comma 4 delle NTA il PPTR definisce l’ambito paesaggistico come “articolazione del territorio regionale ai sensi dell’art. 135, comma 2” del d. lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, e quindi come zona di cui il Piano stesso riconosce “gli aspetti e i caratteri peculiari, nonché le caratteristiche paesaggistiche“.
– all’art. 7, comma 5, il PPTR definisce la “figura” come “entità territoriale riconoscibile per la specificità dei caratteri morfotipologici che persistono nel processo storico di stratificazione di diversi cicli di territorializzazione“.
– all’art. 7 comma 6, il PPTR definisce ancora gli “ulteriori contesti” paesaggistici, ovvero UCP, come immobili ed aree “sottoposti a specifica disciplina di salvaguardia e di utilizzazione ai sensi dell’art. 143, comma 1, lett. e)” del d. lgs. 42/2004, che com’è noto consente al piano paesaggistico la “eventuale individuazione di ulteriori immobili od aree, di notevole interesse pubblico a termini dell’articolo 134, comma 1, lettera c), loro delimitazione e rappresentazione in scala idonea alla identificazione, nonché determinazione delle specifiche prescrizioni d’uso, a termini dell’articolo 138, comma 1“.
In secondo luogo, il parere premetteva il testo dell’art. 91 delle NTA del PPTR, secondo il quale per i progetti come quello per cui è causa deve essere verificato il “rispetto della normativa d’uso di cui alla sezione C2 delle schede d’ambito“. A questo proposito, il parere rilevava che “la realizzazione del parco eolico in questione si trova in contrapposizione con gli obiettivi di qualità paesaggistica e territoriale in quanto non risulta coerente con i seguenti indirizzi e direttive indicate nella sezione C2 della scheda d’ambito “Tavoliere”: conservare la matrice rurale tradizionale persistente e í relativi caratteri di funzionalità ecologica; preservare il carattere di grande spazio agricolo rarefatto del Tavoliere; potenziare le relazioni paesaggistiche, ambientali, funzionali tra città e campagna riqualificando gli spazi aperti periurbani e interclusi; salvaguardare le visuali panoramiche di rilevante valore paesaggistico, caratterizzate da particolari valenze ambientali, naturalistiche e storico culturali, e da contesti rurali di particolare valore testimoniale“.
In terzo luogo, il parere considerava il progetto “non assentibile” sotto il profilo degli impatti cumulativi, e in proposito afferma: “nell’area pari a cinquanta volte l’altezza massima degli aerogeneratori in progetto” (ovvero quella rilevante secondo le normative regionali) “è stato possibile individuare un totale di circa 300 aerogeneratori di grossa taglia esistenti e già in esercizio, senza considerare gli impianti autorizzati ma non ancora realizzati. La somma degli impatti dei singoli parchi eolici risulta insostenibile e la realizzazione di impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile non essere più “ecocompatibile”. L’inserimento dell’impianto in progetto, di grossa taglia e di notevole dimensione nello sviluppo verticale, con quelli già esistenti incrementa il livello di impatto, diminuendo di fatto la sostenibilità dell’intervento. Gli aerogeneratori in progetto sommandosi a quelle già esistenti., vanno a creare un effetto selva che assume nel contesto locale un effetto significativo dalla criticità non trascurabile“.
In quarto luogo, il parere considerava il progetto non assentibile anche sotto il profilo della sicurezza, in quanto “per gli aspetti legati alla gittata massima in caso di rottura accidentale del frammento di pala, verifica di calcolo non eseguito dal proponente, si riscontra che, da una verifica d’ufficio, il valore di gittata legato ad esso … è pari a circa 550 m., considerando un valore che rispetti le condizioni più prudenziali e cautelative“. Ciò premesso, dettagliando le singole misure, il parere rilevava che “tutte le torri sono posizionate ad una distanza di sicurezza inferiore a quella limite calcolata, pari a circa 550 mt“.
Infine, il parere considerava il progetto non assentibile anche sotto il profilo dell’impatto acustico. In proposito, osservava principalmente che il relativo studio “è carente nei contenuti, in quanto l’intera elaborazione previsionale è stata eseguita sulla scorta di un’unica misura“; di seguito poi precisava quali avrebbero dovuto essere i criteri da seguire e perché la misurazione eseguita dalla parte non li soddisfaceva. “La relazione d’impatto acustico deve tener conto di una fase conoscitiva preliminare volta all’individuazione delle diverse tipologie di ricettori (caratteristiche tipologiche, estremi catastali dei fabbricati, descrizione dello stato di conservazione e condizioni di utilizzo ed uso effettivo, attività svolte, tempi dí utilizzo, ecc.), alla caratterizzazione anemologica del sito, alla definizione acustica di altre sorgenti rumorose presenti, all’individuazione dei punti di misura, alla scelta dei tempi di osservazione e di misura che devono essere significativi del fenomeno oggetto di studio, oltre al rilievo di velocità del vento e delle temperature nei punti di misura. I rilievi fonometrici devono essere eseguiti nel rispetto dei dettami imposti dal D.M. 16 marzo 1998 “Tecniche di rilevamento e di misurazione dell’inquinamento acustico”, sia per il periodo diurno (6.00-22.00) che per il periodo notturno (22.00 – 6.00). I risultati dei rilevamenti dovranno essere trascritti in un rapporto che contenga: 1) data, luogo, ora del rilevamento e descrizione delle condizioni metereologiche, velocità e direzione del vento; 2) posizionamento della strumentazione con relativa documentazione fotografica; 3) tempo di riferimento, osservazione e di. misura; 4) catena di misura completa, precisando la strumentazione impiegata (modello, matricola) relativo grado di precisione e certificato di verifica della taratura; 5) livelli di rumore rilevati (time history, analisi in frequenza, registrazione delle calibrazioni); 6) classe di destinazione d’uso alla quale appartiene il luogo di misura; 7) conclusioni; 8) modello, tipo, dinamica e risposta in frequenza nel caso di studio di utilizzo di un sistema di registrazione o riproduzione; 9) elenco nominativo degli osservatori che hanno presenziato alla misura; 10) identificativo e firma leggibile del tecnico competente che ha eseguito le misure. La documentazione previsionale d’impatto acustico, inoltre deve consentire la valutazione comparativa tra lo scenario ante-operam e post-operam, oltre alla verifica dei limiti normativi, sia assoluti che differenziali“.
Ciò posto, il parere osservava che l’unica misurazione eseguita non soddisfaceva questi requisiti, sotto diversi profili che puntualmente elenca. Osservava infatti che nella time history “non è possibile verificare la durata della misura, il livello equivalente della pressione sonora e l’orario in cui è avvenuta la misurazione, mentre manca del tutto l’analisi in frequenza“; osservava ancora che mancava la calibrazione degli strumenti, prevista dal decreto sopra citato.
Il parere osservava ancora che il tecnico di parte “ha dichiarato l’assenza di una serie di dati (velocità, direzione del vento e temperatura) necessari per la validazione della misura e delle elaborazioni eseguite“, e che “alla relazione non risultano allegate misure fonometriche per la caratterizzazione del clima acustico. durante il periodo notturno (22,00 – 6.00), né tantomeno è possibile giustificare l’assenza di tali misure, affermando, come riportato a pag. 17 della relazione che: “il livello di pressione sonora (46 dBA) può essere utilizzato sia per il periodo di riferimento diurna che per il periodo di. riferimento notturno, dal momento che è causato esclusivamente dalla rumorosit4 naturale del luogo: per l’intera durata delle misure non è passato alcun veicolo né si è manifestata alcuna presenza di attività umane (agricole o di altro tipo)“.
Il parere osservava, infine, sul punto che “A tal proposito, le norme impongono che i rilievi dì rumorosità debbano tenere conto delle variazioni sia dell’emissione sonora delle sorgenti che della loro propagazione. Devono essere rilevati tutti i dati che conducono ad una descrizione delle sorgenti che influiscono sul rumore ambientale nelle zone interessate dall’indagine ed indicare le maggiori sorgenti, la variabilità della loro emissione sonora, la presenza di componenti tonali e/o impulsive ero di bassa frequenza. Nella relazione non e stata riportata alcuna tabella da cui sia possibile desumere la distanza di ogni singolo aerogeneratore dai ricettori, non sono presenti le elaborazioni testuali di calcolo eseguite con i relativi dati di input, non è stato dichiarato il codice di calcolo utilizzato per le elaborazioni e manca lo studio sugli impatti cumulativi“.
Il T.A.R. aveva respinto il ricorso proposto dall’impresa contro questo provvedimento negativo.
In motivazione il TAR, aveva evidenziata la parte del parere del Comitato VIA sopra riportata ove si dice che il progetto si colloca all’interno dell’UCP vincolo idrogeologico ed aveva rilevato che gli interventi all’interno delle aree così classificate, richiedevano un’autorizzazione, ai sensi del regolamento regionale 11 marzo 2015 n. 9, autorizzazione che però non risultava conseguita. Ciò posto, considerando l’atto di diniego come atto plurimotivato ed il motivo di diniego ora esaminato come da solo sufficiente a fondarlo, respingeva il ricorso, non esaminando le ulteriori censure dedotte.
Contro questa sentenza, la Società proponeva impugnazione, con appello che conteneva due motivi.
Con il primo di essi, la Società, criticava la sentenza di I grado e sosteneva che l’ubicazione dell’impianto all’interno dell’UCP vincolo idrogeologico di cui si è detto non avrebbe impedito, in realtà, di realizzarlo.
Con il secondo motivo, articolato in sotto motivi, riproponeva i motivi di ricorso di I grado non esaminati nei termini di cui sopra.
La Provincia resisteva e chiedeva che l’appello fosse respinto, richiamandosi alle motivazioni della sentenza di I grado, nonché del provvedimento amministrativo impugnato.
La Sezione tratteneva la causa in decisione e riteneva l’appello infondato e da respingere con ragioni che portavano a confermare, ma con diversa motivazione, la sentenza di I grado.
Il Collegio, infatti, riteneva fondato il primo motivo di appello, centrato sulla non inidoneità dell’area sottoposta a vincolo idrogeologico.
Sul punto, osservava la Sezione, che era corretto quanto affermato dalla parte appellante, ovvero che le aree di questo tipo non sono di per sé inedificabili, come si ricava del resto anche dal regolamento regionale 9/2015 di cui si è detto, che al titolo V disciplina appunto gli interventi edilizi localizzati su di esse. Era, altresì, corretta l’ulteriore affermazione della parte, secondo la quale eventuali atti di assenso richiesti a tal fine si sarebbero dovuti acquisire nell’ambito della conferenza di servizi convocata per decidere.
Ciò premesso, il parere del Comitato VIA, ancora una volta come correttamente rilevato dalla parte appellante, si era limitato ad enunciare la circostanza per cui le torri eoliche di cui al progetto si trovavano nell’area sottoposta a vincolo, ma non spiegava per quali specifici motivi realizzarle sarebbe stato incompatibile con il vincolo stesso. Si trattava pertanto di un diniego che, limitatamente a questo profilo, era immotivato.
Secondo il Consiglio l’appello però andava comunque respinto, in quanto tre dei motivi riproposti sono infondati nel senso di cui subito si dirà.
Con il primo motivo selezionato, la parte aveva contestato quanto il parere del Comitato VIA affermava circa l’impatto cumulativo del progetto. Il motivo era infondato e andava respinto nei termini seguenti.
In proposito, la parte ammetteva che nell’area da considerare, ovvero nel raggio di 12 km dall’impianto in progetto, esistono già 314 aerogeneratori, di vari modelli e dimensioni; affermava, però, che ciò non era rilevante, richiamando affermazioni contenute nel proprio studio di impatto ambientale, secondo le quali, in sintesi “L’esistenza di impianti eolici già realizzati nell’area vasta di indagine ha di fatto già modificato la percezione del paesaggio “naturale”, mutandola in quella che potrebbe definirsi la percezione di un “paesaggio eolico”, in cui gli elementi tecnologici che si sviluppano in altezza sono i nuovi protagonisti degli scenari visuali“.
Secondo la Sezione detta argomentazione non poteva essere condivisa: “In termini puramente astratti, non si può escludere che nel futuro le torri eoliche possano essere considerate alla stregua di elementi caratterizzanti del paesaggio, da valorizzare ovvero tutelare; si deve però prendere atto che nell’attuale momento storico ciò non vale, dato che gli obiettivi di tutela della normativa in tema di VIA, e in generale di tutta la normativa in materia paesaggistica, sono altri. Vale quindi il principio per cui non è consentito al privato interessato contrapporre ad una non illogica valutazione della p.a preposta alla tutela di un dato interesse, una diversa valutazione dei propri esperti, ancorché non assurda o implausibile” (sul principio, per tutte C.d.S. IV 30 agosto 2023 n. 8043).
Accertato quindi che allo stato della normativa le torri eoliche andassero riguardate come potenziali elementi detrattori del paesaggio, in quanto si tratta in sintesi estrema di impianti industriali, nel caso di specie si doveva affermare che la presenza di numerosi impianti di questo tipo già installati, e quindi di un parziale degrado della zona interessata, non impediva di negare la VIA per installarne di ulteriori, dato che “in questo modo si impedisce un degrado ulteriore”: sul principio, per tutte C.d.S. sez. VI 22 novembre 2023 n. 10031 e 6 agosto 2013 n. 4499.
Che si tratti di valutazione non illogica era poi evidente, dato il numero considerevole degli impianti già installati in questione, pari come detto ad alcune centinaia.
Con il secondo motivo in questa sede attenzionato, la parte contestava quanto il parere del Comitato VIA aveva affermato circa la sicurezza del progetto
Secondo il Consiglio, il motivo peraltro era infondato e andava respinto, nei termini seguenti.
La parte appellante, in sintesi, aveva sostenuto anzitutto che non erano verificabili le affermazioni del Comitato VIA circa il “valore di gittata”, ovvero circa la distanza entro la quale una pala spezzata per un qualsiasi incidente poteva essere proiettata. Sosteneva poi che le caratteristiche tecniche dei rotori rendevano quest’evento praticamente impossibile.
Anche in questo caso la Sezione riteneva dette affermazioni non condivisibili anche in base alla comune logica. Quanto al calcolo del valore di gittata, il parere del Comitato tecnico indicava la tipologia dei rotori da installare, e quindi consentiva di individuarne con la massima precisione le caratteristiche tecniche come dimensioni e peso; indicava poi in modo espresso l’altezza e il diametro del rotore e la sua velocità di rotazione: con questi dati di partenza, un calcolo basato sulle leggi della fisica, alla portata di qualsiasi ingegnere, consentiva di verificare l’esattezza del risultato, ovvero, nella prospettazione della parte, la sua inesattezza. Dato che la parte non forniva alcuna critica così sviluppata, si doveva ritenere valido il risultato ottenuto dall’amministrazione.
Quanto alla presunta impossibilità, o quasi impossibilità, dell’evento dannoso, il Consiglio rilevava in primo luogo che si trattava di un’affermazione non supportata da dati tecnici ovvero statistici, e in secondo luogo che, per criterio di comune esperienza, le regole precauzionali di per sé non difficili da rispettare, come la previsione di una distanza di sicurezza, andavano applicate anche in previsione di eventi molto improbabili che però, come nel caso di specie era evidente, potevano avere esiti gravi o mortali per le persone coinvolte.
Con l’ultimo motivo considerato dal Collegio, la parte contestava quanto il parere del Comitato VIA aveva affermato circa l’impatto acustico del progetto; anche questo motivo era infondato e perciò andava respinto. Le argomentazioni della parte, infatti, non superavano il dato, evidente anche in base alla comune logica, per cui salvo circostanze del tutto eccezionali, che nella specie non erano state nemmeno allegate, una sola misurazione del livello di rumore in una qualsiasi zona del territorio non poteva in generale dirsi idonea a fondare lo studio di impatto acustico di un impianto da realizzare.
Sottolineava il Consiglio di Stato che i motivi respinti riguardavano ragioni di diniego ciascuna delle quali di per sé idonea, anche isolatamente considerata, a supportare il diniego stesso. Valeva pertanto, anche in questo caso, quanto afferma la costante giurisprudenza, ovvero che in presenza di un atto c.d. plurimotivato è sufficiente la legittimità di una sola delle giustificazioni che esso contiene per far sì che esso resista all’annullamento in sede giurisdizionale, sì che i motivi che contestano le giustificazioni ulteriori vanno dichiarati improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse: in questo senso, per tutte C.d.S. sez. VI 2 luglio 2024 n. 5816 e sez. V 2 ottobre 2014 n. 4893.
Il Consiglio di Stato respingeva l’appello.
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